Museo "Casa Coppi" a Castellania Coppi: un viaggio nel mito

Photo credits: Stefano Brigati

A Castellania, il Museo Coppi offre un viaggio emozionante nel mito del Campionissimo. Un percorso che unisce la semplicità contadina della Casa Natale alla gloria dei suoi cimeli unici: dalle iconiche biciclette Bianchi, alle maglie Gialla, Rosa e Iridata, per scoprire l'uomo dietro la leggenda del ciclismo.

Tutto comincia da una porta aperta su un tempo lontano. Entrare nella casa natale di Fausto Coppi, a Castellania, significa fare un passo indietro nella storia e respirare l’atmosfera di un’Italia rurale e sobria, fatta di terra, lavoro e dignità. È qui che, il 15 settembre 1919, nasceva colui che sarebbe diventato il “Campionissimo”. La casa è rimasta intatta, restaurata con cura per conservare l’anima autentica del luogo.
Photo credits: Stefano Brigati
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La Casa Natale – Dove tutto ebbe inizio

All’ingresso, appesi alle pareti, sono custoditi gli strumenti del lavoro agricolo: attrezzi in legno e ferro utilizzati per la coltivazione e la lavorazione della terra, testimonianza concreta di una vita profondamente legata al mondo contadino. È facile immaginare il piccolo Fausto muoversi tra questi ambienti, ignaro del destino straordinario che lo attendeva. Accanto alla scala si trova il modello identico della prima bicicletta da lavoro usata da Fausto: un mezzo pesante e scomodo, con cui, da ragazzo, faceva le consegne per un salumiere di Novi Ligure. Proprio in quei tragitti inconsapevoli cominciavano a formarsi le gambe e il cuore di un futuro campione. Diventato professionista, durante i rigidi inverni, questo spazio della casa diventava per lui angolo di allenamento: montava la bici su rulli artigianali e pedalava con tenacia, forgiando già allora la forza e la volontà che lo avrebbero portato alla gloria.
Una sala è dedicata alle imprese leggendarie di Coppi, con fotografie, mappe delle vette scalate e biciclette che sembrano uscire da un racconto epico. La Legnano del 1940, fedele compagna del primo Giro vinto, e le Bianchi, protagoniste di una carriera irripetibile: quella del Giro-Tour 1949, quella del 1952, la bici del record dell’ora ottenuto nel 1942 al velodromo Vigorelli di Milano e quella del Mondiale vinto a Lugano nel 1953. Ogni mezzo racconta una storia, tra telai leggerissimi, cambi Campagnolo a bacchetta, selle in cuoio consumato e manubri in alluminio. Le maglie sono custodite come reliquie: la gialla del Tour e la iridata del campionato del mondo. Ogni colore racconta un momento di gloria. Sulla parete, immancabile lo scatto simbolo con Bartali, il passaggio della borraccia diventato leggenda.

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Un altro ambiente conserva la cucina della famiglia Coppi o, meglio, il tinello: un grande focolare domina la stanza, mentre attorno a un tavolo di legno massiccio si riuniva una famiglia semplice, unita dalla fatica e da forti legami. Alle pareti, vecchie fotografie in bianco e nero raccontano i volti e le storie dei Coppi: il padre Domenico, la madre Angiolina, Fausto bambino e i suoi fratelli, tra cui Serse, anch’egli ciclista, la cui tragica morte lasciò un segno profondo nel cuore del fratello maggiore.
In una camera sobria, con un letto in ferro battuto, un comò, un armadio spoglio e una brocca con catino, nacque Fausto. Tutto parla di una quotidianità essenziale, segnata dalla sobrietà. Le stanze dei figli, anch’esse semplici, raccontano una vita vissuta senza fronzoli, dove l’essenziale bastava. Tra gli oggetti conservati ci sono anche le divise delle squadre Legnano e Bianchi, con i loghi cuciti sulla lana, simboli di appartenenza a un’epoca in cui lo sport era racconto popolare e impresa individuale.

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Una parete è interamente dedicata ai trofei: coppe monumentali, medaglie, targhe e premi arrivati da tutto il mondo. Spiccano quelli delle grandi classiche: la Milano-Sanremo, il Giro di Lombardia – vinto cinque volte, un record ancora imbattuto – e la Parigi-Roubaix del 1950, corsa dura e leggendaria. Ovunque, oggetti personali che raccontano la quotidianità dell’atleta: borracce in alluminio, guanti di pelle, scarpe da corsa, occhiali e fotografie.
La visita si chiude davanti alle prime pagine dei giornali d’epoca: i titoli de “La Gazzetta dello Sport” celebrano l’“Airone”, soprannome nato dalla penna di Armando Cougnet, e restano impressi nella memoria come il volo di un uomo capace di trasformare ogni corsa in un’impresa.

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La gloria del Campionissimo

Quando si esce dalla casa, si lascia alle spalle un mondo fatto di silenzi e sacrifici. Ma subito si viene accolti dallo spazio museale moderno che sorge accanto: un’architettura sobria ma evocativa che apre il sipario sulla grandezza. Qui, l’intimità si trasforma in mito, e ogni oggetto diventa memoria viva. Centinaia di documenti tra cui alcune lettere d’amore e di tormento, testimoniano il legame con Giulia Occhini, la "Dama Bianca", storia che fece scalpore nell’Italia del dopoguerra. 
A poca distanza dalla casa, sulla collina che domina il paese, sorge il Mausoleo dove riposano Fausto e suo fratello Serse. È un monumento imponente, meta finale del pellegrinaggio, un luogo di silenzio e riflessione dove rendere omaggio a uno dei più grandi sportivi di tutti i tempi.

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L'uomo e la leggenda

Per capire la sua leggenda, bisogna chiudere gli occhi e tornare all'Italia del primo dopoguerra, un Paese ferito, in ginocchio, da ricostruire non solo fisicamente, ma anche nel morale e nell'identità. In quel bianco e nero di un'Italia che cercava di rialzarsi, le imprese di Fausto Coppi erano pennellate di colore e di speranza. Le sue fughe solitarie, le sue vittorie epiche al Giro d'Italia (vinto cinque volte) e al Tour de France (conquistato due volte), non erano solo cronaca sportiva. Erano il simbolo di un riscatto possibile.
All’epoca, il ciclismo era lo sport più amato dagli italiani, ben più del calcio: ogni tappa era seguita con trepidazione, ogni trionfo diventava leggenda. Se quel ragazzo esile, nato in una famiglia di contadini, poteva diventare il "Campionissimo", allora l'Italia intera poteva sognare di rinascere. Le sue pedalate non erano solo un gesto atletico, ma un messaggio: la fatica, il sacrificio e il talento potevano portare alla vittoria, non solo nello sport, ma nella vita.
Eddy Merckx, che vinse molto più di Coppi, disse: "Le vittorie di Coppi sono diventate romanzo, le mie cronaca." Le imprese di Coppi avevano un sapore diverso, erano cariche di un significato che andava oltre la linea del traguardo. La sua tragica e prematura scomparsa a soli 40 anni ha poi cristallizzato la sua figura nella leggenda.
Nel museo si respira l'aria di un tempo lontano, si intuisce l'uomo dietro al campione e si comprende meglio perché Fausto Coppi non sia stato solo un ciclista, ma un eroe popolare, un simbolo intramontabile di un'Italia che, grazie anche alle sue imprese, ha ritrovato l'orgoglio e la voglia di guardare avanti.

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Stefano Brigati - Redattore